letture 2011 | |
Il feticcio e la rovina
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Il feticcio e la rovina Da tempo l’arte non è che un feticcio, un surrogato di se stessa, della sua sparizione di quella morte che ne trasforma la fisionomia e la introduce nello spazio della sua vitapostuma: è questa l’idea intorno a cui si articola la ricerca sviluppata in questo libro. Richiamandosi alle analisi di Marx e di Freud — e ai lavori con cui, da differenti prospettive, BeiNamin e Baudrillard le hanno ridefinite — esso intende mostrare come l’arte, dall’Ottocento di Baudelaire al post-moderno, abbia assunto in termini sempre più accentuati - ma all’interno di un processo il cui sviluppo storico è segnato da svolte e momenti di frattura- il punto di vista che il feticcio delinea.
“ Dobbiamo dire allora che l' oggetto estetico mostra se stesso sotto un duplice - e apparentemente contraddittorio - punto di vista. Esso è infatti simultaneamente esistenza e fantasma , paradossale intreccio di un apparire e di uno sparire , imposizione di un ecceso di presenza che manifesta il vuoto di un' assenza totale. (cit. pag. 78)
L’analisi filosofica dell' oggetto estetico (l' “oggetto trovato” di Breton , il ready-made di Duchamp, la “cosa estranea” descritta in certe pagine dilKafka, di Beckett, di Sartre) ci pone immediatamente di fronte a un singolare paradosso. Da un lato essa mostra come simili oggetti siano, per lo più, propriamente insignificanti: banali, neutri, poveri, vuoti, opachi. “Oggetti minimi”, vorremmo dire. L’artista sembra averli “inventati” con l’unico scopo di testimoniare, attraverso essi, il dato insopprimibile della loro muta, nuda presenza. “Sono lì”. Esistono. Ed è tutto. D’altra parte questa loro sconcertante banalità - invece di renderceli familiari, invece di restituirli all’orizzonte del nostro mondo ordinario e al ritmo delle nostre consuetudini - rappresenta ciò che li fa apparire dei tutto indecifrabili. Come se la banalità non mettesse in luce il profilo rassicurante di un mondo compreso, ma ci ponesse piuttosto al cospetto della radicale impenetrabilità dell' ovvio. L’oggetto in quanto marca dell’insignificante è la cosa più lontana da noi proprio perché è la cosa a noi più vicina. Esso colloca l’estraneità nel cuore stesso dell’abituale, assegnando al quotidiano il contrassegno esotico del perturbante. Tuttavia l’oggetto estetico non è solo l’espressione della nuda presenza: la cosa inerte, vuota, muta, insignificante. Nell’ambito del surrealismo e in termini ancor più espliciti nella pratica sperimentale di Duchamp, matura anche un’altra prospettiva di ricerca per effetto della quale l' oggetto invece di manifestare il “grado zero” del senso, diviene luogo specifico di una dinamica esplorativa tendente a sondare la possibilità di sempre nuovi e diversi significati. Piuttosto che degradare il quotidiano a una sorta di spazio infòrme in cui le cose si irrigidiscono nel loro volto di sfinge, anonimo e opaco, gli oggetti, con Duchamp, diventano soglie – porte e finestre: varchi di comunicazione attraverso i quali il nostro mondo ordinario transita in quella regione del possibile nella quale giunge a espressione la pienezza affermativa del reale.
Giorgio Franck insegna Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Verona. Con editore Feltrinelli ha pubbhcato i libri La passione della notte (1982), Esistenza e fantasma. Ontologia dell' oggetto estetico (1989) e Forme del paradosso.Il doppio volto dell’opera tra Baudelaire e Nietzsche (1996).E' inoltre coautore di Crucialità del tempo, a cura di M. Cacciari, Liguori, Napoli 1980. Suoi numerosi saggi sono apparsi su riviste di filosofia e su cataloghi di mostre.
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